Il disegno attraversa con intensità variabile la pratica artistica di Marcello Pietrantoni, presenza incessante, quasi un contrappunto, che permea il suo lungo percorso progettuale e creativo.
Elegante, scostante, talvolta ambiguo, il suo disegnare tende a favorire, in queste opere, una immersione percettiva e psicologica, non di rado spaesante in chi le guarda. In questi disegni così recenti, come del resto non è estraneo al suo operare negli anni anche con tecniche e supporti diversi, emerge un insieme di tensioni, di concentrazione, una accurata forza progettuale che ne determina una peculiare autonomia.

Marcello Pietrantoni non è mai stato, pur vivendone climi e vicende, restio a criticare gli aspetti più tendenziali dell’attualità, un gioco talvolta solitario e non privo di elementi competitivi. In lui ricorre, ancora una volta e con indubbia convinzione, la necessità di invadere lo spazio della creatività con lo spazio della psiche. Spazio, concetto complesso che, per Pietrantoni, va inteso come un ibrido insieme di immensità, intervalli, esperienze.

Spazio con cui ci si misura anche se, con una memoria breve a Erasmo da Rotterdam, non manca un bagliore, o forse un suono di follia, estranea agli aspetti patologici stretti, ma che anima le nostre azioni. Disegni, questi, superbamente dedicati a una narrazione di realtà plurime, una impronta estetica dove, quasi con un impeto compulsivo, percezione e rappresentazione si incrociano.
Nei decenni, e qui la sua prassi ritorna impervia e, come sempre, filosoficamente intuita e ragionata, Marcello è sensibile alla realtà del mondo, a captarne il sound.

Si accennò insieme, anni fa, al suo anelito a ascoltare gli echi di una storia di cui non si conosce il tempo, paradossale “ecostoria” che, dell’eco, implica il suono e il suo ritorno, le sue costruzioni e le sue imitazioni. Anche in questi disegni si può leggere, in più possibili letture, una onomatopeia del reale visibile e del meno visibile, dove i suoni – nascosti? – si celano nei segni, nello spessore della materia disegnata, nelle sagome. E’ il suono impercettibile, e fondante, delle calligrafie che disegnano forme su carte pregevoli.

Il corpo, nel suo essere nel mondo, sono parole di Marcello Pietrantoni, “...è lo sfondo di tutti gli eventi psichici, è il corpo che fa il mondo”. La psiche, il classico soffio, in alcune culture il respiro antico, in fondo quasi un ibrido con quanto si definisce anima, è anche l’elemento che si compone con il fare. E’ una questione immensa, che l’artista qui ancora una volta pone e si pone in un sottile gioco con se stesso, affrontando il profondo scarsamente prendibile dell’inconscio, i suoi enigmatici intrecci con le funzioni della mente, con la materia, meglio, con gli strumenti e i materiali del fare.

Gioco di soglia che trascina in sé, nella voluta a-modernità di un percorso artistico sempre critico rispetto al moderno e alle sue conseguenze, l’inevitabile e sfuggente presenza del tempo.
Ma con chi gioca Pietrantoni anche con questi disegni così affermativi e a tratti scostanti, talvolta con qualche scarna suggestione, o suggerimento, di brevi frasi scritte sui fogli?

La critica, come la definisce egli stesso, all’attualità, già accennata sopra, probabilmente più marcata in questi anni compressi che stiamo vivendo, rientra in una sua riflessione sul presente.
Un presente che muta, snodandosi nei decenni, diventando altro.
Una ricerca, la sua, di una peculiare dimensione a-temporale di umani immersi in fenomeni che producono una forte esperienza interiore. Una singolare, inoltre, esperienza di coscienza in cui umano risulta, forse, essere una denominazione un po’ di comodo, limitante, più giusto riferirsi a dinastie più variegate e meno palesi.

Pierre Restany parlò, con una acuta definizione, di Dinastie Segrete, anche se il riferimento qui diventa più storico e il critico francese lo intese soprattutto per le sculture.
Che cosa distingue coscienza e mente? Nel cromatismo talvolta violento di questi disegni, nella loro materialità che pare quasi riproporre il gioco di una dimensione in rilievo dell’opera disegnata, agiscono la razionalità progettuale e costruttiva del processo creativo e, come dice l’artista stesso: “...è negli imponderabili anfratti della coscienza individuale che ritroviamo le immagini degli oggetti che le appartengono”.

La distinzione accennata poco sopra, per Arnaldo Benini “...è indefinita e spesso arbitraria” e, qui, riassumendo, si entra nel confronto – nella differenza – fra la capacità di pensare e lo stato in cui il pensiero avviene (cfr., Arnaldo Benini, La coscienza imperfetta - Le neuroscienze e il significato della vita, Garzanti, Milano, 2012, p.37).

Nel Pietrantoni attuale sembra ancor più vivo il desiderio di misurarsi con la realtà e con le sue opposte tendenze, oscillanti tra un eterodosso “Pendolo di Schopenhauer”, coinvolgenti comunque i destini umani.

A volte, in queste opere, il pendolo oscilla – per chi scrive – figurativamente fuori controllo e, inevitabile, lavorando con la coscienza come uno degli elementi fondanti della sua pratica artistica, Marcello Pietrantoni si interroga sui destini umani.

Per dirla con Foucault, se l’uomo è una invenzione recente, l’artista si è sempre riferito al tempo. Secondo Benini è il tempo, come dato immediato della coscienza, che “...si presenta come fenomeno irrazionale, refrattario a ogni formula concettuale”. (A. Benini, ibidem, p. 108). Pietrantoni, con frequenze diverse, non ha mai interrotto di allacciare i fili di un linguaggio, in primis mediante il disegno, con la specie umana, e le sue varietà nei tempi, col suo destino. Una visione tragica dominata da un senso di elegante distacco, una ricerca di bellezza e del suo prodursi. Per lui noi umani siamo “cose della natura”, da cui le interrogazioni sul corpo e sul mondo.

Il nostro corpo è nel numero delle cose, come scriveva Maurice Merleau-Ponty “…è una delle cose (Maurice Merleau-Ponty, L’Œil et l’Esprit, in “Art de France”, n.1, 1961). In questi disegni, come un rumore di fondo del suo percorso artistico, risuona un mondo che, idealmente, tende al cosmo e ne fa parte, insieme risuona anche il nostro mondo interiore. Il corpo, dice il filosofo francese Bernard Andrieu, “…ha imparato a incorporare il mondo”.

In altri anni i suoi disegni non nascondevano un dolore cosmico, un Weltschmerz, una stanchezza del mondo che si confronta, in ogni vivente, con l’esigenza di perpetuarsi. Una delle tante oscillazioni (il pendolo), che spesso hanno portato Pietrantoni a misurarsi, con l’immaginario, oltre un tempo cronologico.

Rispetto ai disegni più giovanili che, nella sua costante critica alla modernità, lo portavano a ricercare un tempo precedente al nostro, una quasi arcaicità per investigarne anche le valenze estetiche, quelli attuali si annunciano come un sottile, quasi temerario processo di introiezione, per sua natura dotato di una grande carica psicologica. In altri anni quello che l’artista ha chiamato “il disfacimento delle cose”, in varie tecniche da egli usate ma soprattutto nei disegni, era accentuato sovente da una sorta di luce bianca posteriore.

In questi ultimi, la forza cromatica richiama un uso decisamente più materico dei colori e del loro strutturarsi sul foglio. L’impeto, senza rivelarli ha, da una parte, l’approccio di un autoritratto, celato e quasi “sussurrato” in una sequenza di gesti e di opere, dall’altra è un susseguirsi di vortici, un girare e un far girare, quello che Pietrantoni raggruppa in un antico termine greco, Pantodapon. Una parola composta, Pantodapon, il tutto (panto) di ogni sorta e specie. Non è uno svelare apocalittico, quello di Pietrantoni, piuttosto una coraggiosa autopsia intesa come un vedere, un invitare a vedere, con i propri occhi. Qui sta la sua, volendo asimmetrica, posizione fra critica dell’attualità e desiderio di realtà esistente.

E’ azzardabile affermare che quando egli lavorò alcuni anni con Umberto Eco, assimilò la smitizzazione, o la laicizzazione di concetti quali quello della rivelazione e, poco più che adolescente, la frequentazione abituale in Brescia con Emanuele Severino (bresciani entrambi), sviluppò la sua diffidenza per una visione nichilista nelle sue tante versioni. In Pietrantoni, fatte salve le differenze con il filosofo bresciano, forzando un po’ i concetti, il moto universale fondante non è un percorso dal nulla al nulla, bensì – parafrasando Severino – il comparire e lo sparire di ciò che è eterno.

Qual è il materiale del cosmo? Questa non è che una delle tante questioni che si pone Marcello Pietrantoni e che emergono dalle sue opere.
Una riflessione interessante in merito la scrisse un filosofo olandese, Johan Huizinga: citando l’inno Rigveda, ipotizzò che l’essere primordiale, Purusha (l’uomo) servì da materiale al cosmo.
Per una lettura in particolare dei disegni dagli anni settanta a oggi dell’artista, è stato pubblicato un elegante e nutrito catalogo che procede a ritroso, dagli anni attuali a circa mezzo secolo fa:

Pietrantoni - Corpo e mondo, Edizione italiana e inglese, Skira Editore,
collana cataloghi, Milano, 2021
con una introduzione di chi scrive e un saggio di Rosa Fasan.

Franco Torriani


"Il disegno è il contrappunto delle varie pratiche artistiche e progettuali di Marcello Pietrantoni.
In oltre mezzo secolo, egli ha trasformato un album dai fogli bianchi, un album (da albus, bianco in latino), in un diario incessante, talvolta svelato, in altri tempi tenuto più a lato rispetto alle altre sue opere del periodo. Contrappunto fondante nel dare senso, metaforicamente, alle linee melodiche delle sue multiformi espressioni simboliche e creative."

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“Drawing is the counterpoint to the various artistic and architectural activities of Marcello Pietrantoni. In over half a century, he has transformed the blank sheets of an album (from albus, the Latin word for white) into an unending diary, sometimes revealed and sometimes side-lined with respect to other works of the period.
A foundational counterpoint that lends meaning metaphorically to the melodic lines of his multiform symbolic and creative expressions."




"Marcello Pietrantoni, nel suo pensiero come nella sua pratica artistica, vive nei tempi una linea di fondo, non agevole, ma realistica, nella complessità legata ai difficili equilibri - o ai non equilibri - di quanto esiste, si progetta, si realizza in natura e di quanto in essa si manifesta incessantemente."


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"In his thinking as in his artistic practice, Marcello Pietrantoni walks a line that is not easy but realistic through the complexity of the precarious balance - or imbalance - between what exists, what is designed and created, and what manifests itself endlessly in nature."


Franco Torriani