Il disegno è il contrappunto delle varie pratiche artistiche e progettuali di Marcello Pietrantoni (MP). In oltre mezzo secolo, egli ha trasformato un album dai fogli bianchi, un album (da albus, bianco in latino), in un diario incessante, talvolta svelato, in altri tempi tenuto più a lato rispetto alle altre sue opere del periodo. Contrappunto fondante nel dare senso, metaforicamente, alle linee melodiche delle sue multiformi espressioni simboliche e creative. Un vertiginoso percorso diagonale, quello dei disegni, dove la compresenza di due concetti per lui essenziali, il corpo e la psiche, pulsano nelle più svariate rappresentazioni disegnate, dalle più minimali a quelle più sorprendenti e abnormi. Vien da riflettere, tenendo presente che è più che altro una supposizione suggestiva, che una delle radici - ipotizzate - di album è albiz o anche albaz (radice possibilmente germanica che richiama bianche apparizioni fantasmatiche…).
Il corpo, in una affermazione diretta di MP, “…è lo sfondo di tutti gli eventi psichici”. E inoltre, per lui, “…è il corpo che fa il mondo”. La psiche, il classico soffio, il respiro antico per alcune culture e tempi l’anima, è anche l’elemento di un comporsi col fare, con il profondo poco prendibile dell’inconscio, con le funzioni della mente e il fare che, da questo insieme, drammaticamente ne deriva. Siamo, sfidando il concetto misterioso - e per necessità convenzionale - di tempo, al Pantodapon (1), a ogni cosa, al suo vortex. È un (far) girare, (far) deviare… (dal latino vertere). Siamo, ora, in un vortice in cui ogni cosa ha subito una vertiginosa accelerazione, e l’impatto di questa deviazione è da terra incognita e da spiazzamento a spirale.

“La distinzione fra coscienza e mente - per Arnaldo Benini - è indefinita e spesso arbitraria.” La differenza è fra la capacità di pensare e lo stato in cui il pensiero avviene(2). Quando si implica la coscienza e la si cerca di penetrare, si entra in quanto consente alla mente di progettare e di agire e non solo (e qui Benini cita B.J. Baars, In the Theater of Consciousness).
Giusto che Benini scriva lapidario “Essa [la coscienza, NdR] è il teatro della mente”(3).
Scrive, inoltre, parafrasando Baars, di passato, presente e futuro come momenti dell’esistenza affermando che, in ogni lingua, domani compare prima di ieri…
MP ha sempre improntato i suoi sforzi a una riflessione critica sul presente, talvolta teso a una paradossale ricerca di a-temporalità, di un tempo vissuto da umani immersi in fenomeni che costituiscono l’esperienza di sé. Benini, spaziando da scienziati a filosofi, scrive che “…Una millenaria esperienza ribadisce l’impossibilità di dire il tempo”. Infine, con una affermazione acuta per lo scrivente, altro non si può dire se non che “il tempo è il tempo”(4).
“Era proprio necessario inventare ‘il tempo’?”, si chiede François Jullien (5). Se, ricordando Foucault, l’uomo è una invenzione recente, MP ha dato a chi scrive spesso la sensazione di porre una questione sull’avvicinarsi alla fine, a un rapporto col cosmo che non necessita dell’invenzione appena citata. Guardando negli anni, con lui, alcuni suoi disegni, si commentava - sono precisazioni sue - una bruciante ed esoterica luce posteriore, un’assenza di vita che non sia quella della fisicità delle opere, del loro presentare forti implicazioni psichiche. Lo psichico, come il sacro, il tempo, sono tra i fondamenti, detto forse in maniera molto sbrigativa, della sua doxa, più che una semplice opinione un questionamento evolutosi nei tempi col divino. È anche il rapporto col cosmo, una sorta di “pendolo di Schopenauer” fra tendenze opposte, data la forza inaccessibile - del cosmo - che l’artista metaforicamente colloca nel prorompere del Tuono.

Pantodapon, l’ogni cosa attuale, nella conflittualità, nel soffio vitale e nelle paure che suscita nei viventi, nelle forme viventi che la tecnologia via via produce, nel parziale vivente dei parassiti (i virus). In sostanza, il virtuale pendolo che oscilla fra gli elementi di vario segno, presunto che sia davvero una nuova era e non la coda di quella precedente, della nostra era dell’Antropocene. È il tempo, inoltre, come dato immediato della coscienza, che “si presenta come fenomeno irrazionale, refrattario a ogni formula concettuale” (6), come dice ancora Benini facendo riferimento a Eugène Minkowsi.
Non meraviglia, quindi, che anche nel riempirsi del bianco dei fogli dell’album e nei decenni, emergano in forme plurime e diverse i contenuti della coscienza; per abbreviare, i dati della percezione nel loro insieme. MP, nel suo pensiero come nella sua pratica artistica, vive nei tempi una linea di fondo, non agevole, ma realistica, nella complessità legata ai difficili equilibri - o ai non equilibri - di quanto esiste, si progetta, si realizza in natura e di quanto in essa si manifesta incessantemente. “La simmetria non è interessante che a partire dall’istante in cui essa si spezza…” (traduzione mia di quanto scrive Trinh Xuan Thuan nell’introduzione del suo libro Le chaos et l’harmonie - La fabrication du Réel) (7).

Secondo questo autore, e più di uno dei vari cicli di disegni di MP entrano in questa sfida, la riflessione, il progetto, il disegno sono imperniati su quelle situazioni, per stare nella visione di Trinh Xuan Thuan, di ciò che nasce partendo da “situazioni fuori dall’equilibrio”. È proprio quella, paradossalmente, la loro misura. Le sue Simmetrie Improbabili (8), e anche una sorta di autopsia in parte disegnata di Villa Allegonda (9) e del clima De Stijl, sono l’attenzione per la matrice della summetria, la proporzione, e il nascosto che, in tempi diversi e con intensità differenti, MP ha collegato all’intricato, insondabile se non per convenzioni, rapporto fra il Bello e la Verità.
Come pare esortasse Schopenhauer, traduco liberamente l’autore di Le chaos et l’harmonie, conviene lasciare “…la ragione nel vestibolo e abbandonarsi all’intuizione per apprendere la bellezza” (10).

Nel percorso, e nell’attraversare la storia di mezzo secolo scorso fino ad oggi, l’armonia anelata si scontra, spesso devastata dalle fratture e dai conflitti, con un contesto che ricorda certi dipinti cinquecenteschi di Pieter Bruegel il Vecchio e che, in questi tempi recenti, si ripropone in un nuovo, inquietante paesaggio. È un pendolo fra situazioni che in estremo tendono agli opposti, che alle nostre più o meno metaforiche tribù attuali sta facendo perdere i cammini rituali. Altra indagine, questa, che MP fece anni fa con opere in parte anche disegnate de Il Lago Bianco, l’ago nero (11).

Anche tecnologicamente, diremmo meglio ormai da decenni, le rotture di vario genere sono frutto di obsolescenze implacabili. Nel suo ciclo di raccolta di immagini fotografiche, l’Archivio Fotografico (12), poi disegnate con notevole discrezione, vien fuori il già-stato della fotografia, la pietra di paragone con il disegno (eventualmente) del qui e ora, con istanti irrecuperabili, memorie e materia prima in simultanea o quasi. E la questione della capacità, sulla soglia del possibile e del suo contrario, “di realizzare - scrive Charles Edouard Bouée in Confucius et les automates - un equilibrio tra movimento e permanenza, fra l’accelerazione crescente del tempo e la capacità di adattamento degli umani” (13). Aggiungerei del vivente.

Come in alcune immagini dell’Archivio Fotografico, e nella sua ripresa non troppo rivelata nei disegni e altre sue opere, il passaggio nel XX secolo e la critica al Moderno, in senso stretto, è (sono) come una riflessione, seria e empatica, circa i suoi protagonisti e il suo progetto, diluitosi nonostante le premesse.
Le protagoniste, ad esempio, della salita di una scala interna del dipinto a olio di Oskar Schlemmer Bauhaus Stairway (1932), salgono come se, senza manifestarsi in diretta, dall’altra parte ci fosse una discesa in moto perpetuo come in tante opere di Escher…

Il disegno attraversa con intensità variabile le arti visive. Questa intensità è simultaneamente una quantità e un grado di energia. L’attraversamento è ambiguo: da una parte, persiste in ognuno una memoria del disegno come profilo, come linea, quindi come elemento importante della dimensionalità. Dall’altra, il disegno è un progetto di cui si avverte la presenza e di cui si constata… statisticamente l’esistenza. Con la pratica delle opere disegnate, sono considerazioni sue, MP ha, con frequenze diverse, riallacciato i fili di un linguaggio, in primis disegnato, al destino della specie umana. Una realtà di cui ha sempre colto i termini tragici, dell’essere noi umani “cose della natura”. Se l’arte non è più veggenza, per lui in questo ha anche giocato la nostra presunzione attraverso i tempi, forse le ere, sempre che questo essere veggenza non sia stato più un anelito che altro dove hanno inciso le culture, le credenze, i miti dei tempi e dei luoghi. Anche tempi pre-storici, secondo lo scrivente.

Il nostro corpo, per dirla alla Maurice Merleau-Ponty, il mio corpo - lo parafraso - è nel numero delle cose, “è una delle cose” (14). È una tesi potente di poco più della metà del secolo scorso - lo abbiamo attraversato in parte… - in cui Merleau-Ponty metteva a confronto, per citarne il titolo, L’occhio e lo spirito. Per chi scrive, va tenuto presente che il secondo termine originale del titolo, l’esprit, è anche la mente. Su queste soglie di confronto MP si è mosso in più sequenze della sua pratica artistica, interrogandosi, vedi il libro in questione, sul corpo umano. Il corpo “è preso nel tessuto del mondo e la sua coesione è quella di una cosa” (15). Cose, in questa ottica di pensiero, che diventavano “annessi” o “prolungamenti” del corpo. In questo, si fa un lungo passo verso gli anni dei disegni - e non solo - giovanili di MP, più legati a una sorta di curiosa contro-oggettualità, a una ricerca di un prima del tempo precedente al nostro che, più che impattarsi su una critica al moderno, tendeva a una arcaicità ideale.
È la ricerca la sua, di termini di un inizio - come, per altri aspetti, aveva fatto il filosofo francese - che avevano, o avrebbero, definito la visione, la pittura, il miracolo del corpo in rapporto col mondo: “La sua inesplicabile animazione - scriveva Claude Lefort commentando Merleau-Ponty - (…) e anche la fragilità di questo miracolo” (16).

Superfluo, pur tenendo conto di un percorso artistico di oltre cinque decenni, costruire una rigida tassonomia che, più che a categorie tematiche e temporali, non si concentri sulle linee di fondo che, di fatto, sono, e sono state, materie prime di un lavoro incessante.
Nelle sue opere disegnate, dalle recenti (cfr. Pantodapon, lo stato attuale di pandemia aiuta…) a quelle dei decenni precedenti, si entra in una sorta di agorà del parlare pubblico. Dai disegni de Le Forme della Coscienza a Tuono, si percepisce un risuono del mondo, forse del cosmo, ma anche il risuono del nostro mondo interiore. Se, come recita il titolo del libro, Il corpo è mondo, va sottolineato come su altri temi ne parli Bernard Andrieu: “Il mondo corporeo non è né il mondo né il corpo…”.
Il corpo ha imparato a incorporare il mondo, per l’autore, al punto di mondanizzarsi “…per habitus nelle sue funzioni e nei suoi modi di azione tattile” (17). Aspetti questi, per chi scrive, che MP ha tenuto ben presenti anche nelle sue sculture.

Gli spostamenti di significato sono, per lui, una prassi costante, anche traslando fra linguaggi simbolici diversi, un trópos, un trasferimento. A un continente misterioso e, forse, originario, Ur, è riconducibile, opinione dello scrivente, il riferimento ancestrale che anima le varie espressioni artistiche di MP (18).
Questo ipotetico unico continente primordiale, quasi qui una metafora di un inizio del tempo, altro concetto rilevante per l’artista, si confronta con il senso della storia e dei suoi miti, come la greca dea del bisogno, Penìa, femmina che impersonava la povertà in una società - storica - di disuguali.
Le Stanze della Terra poggiano su una visione del mondo che, sono parole sue, “deve oscillare avanti e indietro”. Espressione ricavata da un amato microuniverso, in sostanza chiuso, quello degli indiani Hopi, un popolo che mezzo millennio fa viveva in Arizona, in simbiosi con la natura.
Gli Hopi, per MP, vivevano in una città ideale dove ogni oggetto, costruito con modalità elementari e quasi primitive, non solo “prolungava con continuità il corpo umano, ma era un oggetto arcaico in cui era leggibile un gioco anti-design”.

Queste protesi - che erano una sorta di anticipazione di protesi tecnologiche di secoli dopo - non impedirono la catastrofe della città ideale, un po’ come l’impossibilità di ripetere rituali ritenuti eterni aveva portato, nell’opera Il Lago Bianco, l’ago nero (19), un mondo alla sua estinzione.
È il movimento del già citato pendolo di Schopenhauer - chiedo comprensione al filosofo - anche certamente dell’oscillare fra dolore e noia, così come fra vita e morte, o morte rinviata.
La disincantata riflessione sulla fine, intesa in tutta la sua complessità, non difetta in MP di un lucido - e signorile - Weltschmerz, un dolore cosmico.
L’Eterno Ritorno lo ha visto impegnato in più anni e con tecniche diverse. “Il disfacimento delle cose (nei disegni) lo accentua la luce bianca posteriore…”; spesso, del resto, egli ha inteso porsi oltre, nell’immaginario, un tempo cronologico (20). La questione, probabilmente irrisolvibile, da una parte contempla la stanchezza del mondo (il già citato Weltschmerz), dall’altra la specie che - come ogni vivente - tende a perpetuarsi. Nella mitologia greca, una delle pietre angolari del pensiero di MP, la seppur povera ed emarginata Penìa partorì Eros, il dio dell’amore.
Le imprescindibili per me parole di Zarathustra, dunque l’eterno ritorno di Nietzsche, implicano laceranti questioni sul sacro e sulla portata di questa circolarità che, anche in altri orizzonti, si interroga nei millenni sull’immutabilità del mutabile.

Quella di MP è, inoltre, una interrogazione sulla conoscenza. “Il Cielo e la Terra sono i modelli, si muovono seguendo il loro corso (il Tao).” In materia scrive Serge Bramly, “Non vivere questa identità con le forze originarie (…) è astrarsi dall’ordine del mondo” (21).
Qual è il materiale del cosmo? si chiede MP. Guardando i suoi disegni una delle risposte possibili, può fornirla Johan Huizinga che, citando l’inno Rigveda, afferma: “L’essere primordiale Purusha, cioè l’uomo, ha servito da materiale al cosmo. (…)
Nella Snorra Edda Gangleri chiede: ‘Quale fu l’inizio (…) che cosa c’era prima?’” (22).

L’album dei disegni è denso.

Franco Torriani, 24 Agosto 2020

 


1
Pantodapon: parola composta derivante dal greco panto- “tutto”, significa d’ogni genere, sorta, specie, famiglia, razza, gente; svariato, vario. Cfr. Lorenzo Rocci, Vocabolario Greco Italiano, Società Editrice Dante Alighieri, Roma, 1981, p. 1401.

2
Arnaldo Benini, La coscienza imperfetta - Le neuroscienze e il significato della vita, Garzanti, Milano, 2012, p. 37.
Per quanto riguarda ricerche linguistiche ed etimologiche di vari termini contenuti nel saggio, per es. albus, si è fatto ricorso ai volumi del The Grolier International Dictionary. Chi scrive è grato alla editrice Grolier Inc., New York.

3
Ibid. Benini cita Bernard James Baars, In the Theater of Consciousness. The Workspace of the Mind, Oxford University Press, Oxford 1997, p. 162.

4
Ibid., pp. 101 e 102. In nota Benini specifica: Paul Ricoeur, Temps et récit, Seuil, Paris 1983-1985 (tr. it. Tempo e racconto, Jaca Book, Milano 1983-1988); Ernst Tugendhat, Heidegger und Bergson über die Zeit, in Aufsätze 1992-2000, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2001, pp. 11 e ss.

5
François Jullien, Le trasformazioni silenziose, Raffello Cortina Editore, Milano 2010, in particolare il Capitolo 8: “Era proprio necessario inventare ‘Il Tempo’?”, pp. 96 e ss. (ed. or., Les transformations silencieuses, Grasset & Fasquelle, Paris 2009).

6
Arnaldo Benini, La coscienza imperfetta…, cit., p. 108. Benini fa riferimento al libro di Eugène Minkowski, Il tempo vissuto. Fenomenologia e psicopatologia, Einaudi, Torino 1971 e 2004, pp. 23 e ss. (ed. or. Le temps vécu. Études phénoménologiques et psychopathologiques, Presses Universitaires de France, Paris 1968).

7
Trinh Xuan Thuan, Le chaos et l’harmonie - La fabrication du Réel, Fayard, Paris 1998, p. 17.

8
Simmetrie improbabili, opera di MP del 1979-1980. Cfr. Franco Torriani, Symétries improbables de Marcello Pietrantoni, Editions Rencontre, Bruxelles 1979.
Sito web:
www.pietrantoni.it/simmetrie.html

9
Villa Allegonda, opera di MP del 1979.

10
Trinh Xuan Thuan, Le chaos et l’harmonie…, cit., p. 26.

11
Lago Bianco, l’ago nero, opera di MP del 1977-1978.

12
L’Archivio fotografico inizia a metà anni ’60 e prosegue per oltre cinque anni. Stanco della pittura, MP, oltre al lavoro sull’archivio, si impegna a fondo nella pratica dell’architettura. Scrivevo a inizio anni ’90, “Con questa raccolta maniacale di immagini egli abbandona il privato, per allargarsi a una visione pubblica del mondo”. Fotografie che, spesso, riproducono edifici e squarci urbani. È l’interrogarsi sulla rappresentazione dell’architettura e, come in una linea sotterranea, egli lavora a un contrappunto disegnato, un confronto tra passato e presente, una discesa nell’immaginario architettonico e nella caducità delle nostre vicende umane (In proposito cfr. il capitolo “L’archivio fotografico”, in Franco Torriani, Marcello Pietrantoni, Shakespeare & Company, Milano 1990, pp. 23 e ss.).

13
Charles-Edouard Bouée, Confucius et les automates - L’avenir de l’homme dans la civilisation des machines, Grasset & Fasquelle, Paris 2014, p. 171.

14
Maurice Merleau-Ponty, L’Œil et l’Esprit, Gallimard, Paris 1985, pubblicato originariamente in “Art de France”, 1961, n. 1 e in “Les Temps Modernes”, XVII (1961), nn. 184-185, pp. 193-227). Tr. it. L’occhio e lo spirito, SE, Milano 1989.

15
Ibid.

16
Ibid.

17
Bernard Andrieu, Le monde corporel - de la constitution intéractive du soi, Éditions L’Âge d’Homme, Losanna 2010, p. 23. Libera traduzione dello scrivente.

18
Ur è un prefisso che, in tedesco, conferisce a un termine il significato di ancestrale, originario e sinonimi. Non è Ur, patria nella Bibbia di Abramo e non riguarda qui la città di Ur, in Mesopotamia (Ndr).

19
Cfr. la nota 11.

20
Franco Torriani, “Tra Aion e Chronos”, in Marcello Pietrantoni, L’eterno ritorno, 5 Continents Editions, Milano 2006, p. 86.

21
Serge Bramly, Il sistema “I King”, “Pianeta”, n. 54, settembre-ottobre 1973, p. 54.

22
Johan Huizinga, Homo ludens, Il Saggiatore, Milano 1983, pp. 199-200. Citato in nota da Franco Torriani, “Tra Aion e Chronos”, in Marcello Pietrantoni, L’eterno ritorno…, cit., pp. 84-85.
Nel suo Homo ludens (l’edizione originale in olandese è del 1938), Huizinga cita l’Edda, il testo fondamentale del patrimonio mitologico e linguistico medioevale non solo della Norvegia, ma dei paesi scandinavi e dell’area Nord-germanica. L’autore, l’islandese Snorri Sturluson (1179-1241), dotto poeta e politico, ne scrisse il nucleo originario a cui, per secoli, si aggiunsero parti successive. L’Edda è chiamato in modi diversi, ad esempio l’Edda di Snorri; nel suo Homo ludens lo storico olandese preferì la dizione islandese, come islandese era Snorri, Snorra Edda. (Le interpretazioni del nome Edda sono varie e non certe.) In questo monumento letterario di un’area geografica e culturale tipicamente nordica, il cristiano Snorri ebbe una grande attenzione alla mitologia locale e anche ai rapporti non semplici fra cristianesimo e tradizioni pagane. Huizinga menziona Gangleri, un povero viandante errabondo in cui si era trasformato, travestendosi, il mitico e forse mai esistito re Gylf. Questi, per la leggenda, viaggiava sotto le spoglie del mendicante Gangleri alla ricerca degli dei.
Segnaliamo, inoltre, l’introduzione che scrisse Umberto Eco (“‘Homo Ludens’ oggi”), per un’edizione del libro Homo ludens pubblicata da Einaudi nel 1973. Fra i molti suoi incarichi, MP fu assistente di Umberto Eco per cinque anni.

 

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